domenica 25 marzo 2012

Finisce il giorno e al di là della mia finestra il cielo vira dal rosa al grigio azzurro, sopra le sagome tratteggiate a carboncino delle case. Inesorabile tempo che passi e io che non faccio niente, se non rimanere lì, in contemplazione. Stasera la Rete, domani i giornali, saranno pieni delle tue parole. Io mi limito a farti un cenno senza muovermi, guardando lo stesso cielo che guardavi tu dal Tago. Tra qualche giorno riaprirò un tuo libro o forse no. Avrò nostalgia dei tetti  sventagliati e sparsi sui sette colli, dei tramonti ventosi, della luce: come ogni giorno. Continuerò ad attendere, tra la veglia e il sonno, un'altra insonnia. Un'altra me. A presto.


sabato 17 marzo 2012

__________(da compilare) Senza Niente.

"Questo mese ho compilato 193 form online su siti aziendali alla voce lavora con noi. Ho scritto 193 volte il mio nome e cognome. Per 193 volte ho indicato indirizzo, numero civico, cap, città, provincia di residenza e di domicilio (da non indicare qualora quest'ultima coincidesse con l'indirizzo di residenza: non coincideva). Per 193 volte ho indicato il mio numero di cellulare e ho lasciato in bianco il box relativo al numero di telefono fisso. Sempre 193 sono state le volte in cui ho aggiunto il mio indirizzo email e la data di nascita.
Poi, per 193 volte sono passata alla seconda fase: istruzione e formazione."


Stop: ma che, questo libro parla di me? E' l'impatto con la piccola chicca di Pietro De Viola, Alice Senza Niente. 
Molti di voi sicuramente lo conosceranno già, magari qualcuno di voi è passato per caso dal blog di Pietro, che nell'header replica l'efficacissima immagine di copertina, che ricorda un po' un film di Almodovar e potrebbe essere lo zoom su un dettaglio di un quadro di Hopper. Non è un caso, se cito questi due esempi di arte contemporanea quando parlo di Alice: nato come romanzo on line, ha suscitato talmente tanto scalpore, incoraggiamento e approvazione tra i giovani e meno giovani, che alla fine è stato pubblicato. E meno male, dico io. Dovrebbero farlo leggere nelle scuole (qualcuno l'ha già fatto), distribuirlo nei supermercati ogni 50 euro di spesa, metterlo nelle poste per ingannare le ore di attesa, nelle stazioni insieme ai free press, e via dicendo (non me ne vogliano Pietro e le sue tasche).
Ritorno in me, per chi ancora non sapesse di cosa sto parlando: Alice Senza Niente, come è facile intuire, è la storia di Alice, una ragazza trentenne che vive in un monolocale di città insieme al suo ragazzo, Riccardo (vedo già il 10% di voi riconoscersi e annuire). Alice è disoccupata (il 50% di voi sta annuendo), è alla ricerca disperata e compulsiva di lavoro (il 70%) e farebbe qualsiasi cosa pur di uscire a mangiare una pizza con il suo ragazzo e guardare un film di Hollywood senza  provare rabbia e invidia per i ricchi e spensierati protagonisti (non dico che siamo al 100%, ma...). 
 Alice senza niente parla di noi: di chi si dedica con passione a lavori insulsi come distanziare gli appendini in un negozio di catena in modo che l'unica XS, le due S, le due M, le due L e la solitaria e colpevolizzante XL stiano tutte alla stessa distanza come soldatini sull'attenti. Di chi per arrivare a 1.000 euro al mese (cifra iperbolica alla quale TUTTI noi aspiriamo come alla più grande delle fortune) fa almeno due lavori. Di tutti quelli che si abbuffano agli aperitivi e preparano meticolose "schiscette" trasformando una zucchina in un lauto pasto per la pausa pranzo, preferibile ai 3,50€ per un trancio di pizza. Parla di tutti quelli che per mesi e anni si alzano alla mattina e raggiungono un ufficio con l'aura immacolata del discepolo volonteroso di imparare, anche senza rimborso spese, e che tornano a casa scoprendosi non solo "imparati" ma anche produttori di forza lavoro gratuita.  
Con una voce autentica e straziante ci descrive ciò che siamo e che siamo stati e che forse (tocchiamo ferro) saremo: un ammasso di giovani, sempre anelati ma sempre guardati con un aria di disprezzo. Una popolazione di disperati sull'orlo di una crisi di nervi, di esistenzialisti interinali, sottoposti a stress test peggio di una centrale nucleare giapponese. Collaudati da datori di lavoro magnanimi, che poi ti timbrano (APPROVED)  e ti rispediscono in catena di distribuzione. Insomma, polli da batteria disillusi ma con un potenziale ancora da sfruttare a fondo: la speranza, dopo tanta catastrofe, è che "si compiano, e comincino finalmente, le nostre vite". 






Ultima nota: per la prima volta mi capita (con enorme piacere), di leggere la biografia di un autore che non sia pomposa, piena di titoli e opere magnifiche, che ti fanno sentire un puntino nell'universo. Per la prima volta, mi sento sadicamente felice nel leggere che Pietro De Viola, nato in Sicilia, classe 1980, laureato in Scienze politiche, è stato "insegnante privato, volantinatore, agente immobiliare, operaio generico, cassiere, magazziniere, repartista, venditore telefonico, operatore fiscale" mai per più di tre mesi di fila. Questo libro, cito i 99 Posse, è "un fatto di appartenenza" ed è la prova tangibile e leggibile che esistiamo e siamo disposti a farci carico di tutte le tasse, pur di lavorare. 

domenica 11 marzo 2012

Ragazza complicata cresciuta a pane e smog.

Un libricino breve breve che mi conquistò due giorni fa e che lessi d'un fiato in treno: Purché una luce sia accesa nella notte (et al. edizioni, 2010), della milanese Patrizia Zappa Mulas.
Sono raccolti in questo volume quattro racconti che a Milano sono ambientati e che tanto, dello spirito milanese, ci parlano. Io li ho amati e odiati in un secondo. Lei è attrice, ballerina, scrittrice: una personalità importante, che si scioglie nella la sua scrittura e la impregna fino all'ultima riga. Incombe, protagonista e presenza narrante. Con le parole ci sa fare, le gestisce con grazia e talento nascosto, ma è un esercizio pigro, aristocratico e un poco snob. 
Si parte da San Siro (primo racconto), dove la luce artificiale scandisce il tardo pomeriggio d'inverno: in pochissime pagine si esaurisce la narrazione dello spazio domestico, privato e autobiografico della preadolescenza, periodo ingrato raccontato attraverso l'atmosfera carica di malinconia di certe giornate che si avviano alla fine.
Il secondo racconto, il più corposo, è quello che da sé vale tutto il libro. Piazza Fontana e l'innominata strage, vissuta attraverso il velo di tulle che offusca la mente delle giovani danzatrici della scala. Ossia  in sordina come un rumore lontano, niente più. Ma dentro questo bellissimo racconto c'è un pezzo di vita, c'è la fisicità, c'è il riappropriarsi muscolo dopo muscolo della propria storia. C'è un salto d'età e generazionale in fieri, un cambiamento epocale che rimbomba nella mente di un piccolo soldatino con le punte. Bisogna senza dubbio essere grati a queste perle di narrativa che tendono a nascondersi, e rendere loro omaggio, godersele e non avere paura di applaudire.
Terzo racconto, viaggio di una milanese a Stromboli: la scalata del vulcano, l'incontro con la scomoda natura meridionale, il corpo a corpo che sembrerebbe fra lei e il vulcano,  ma in realtà è uno scontro tutto interiore. Esce fuori, qui, la supponenza; quel guardare dall'alto di chi sente nostalgia dell'asfalto, di chi capisce ma non compatisce (nel senso empatico del termine). Forse è il racconto che più infastidisce, come avere a che fare con una compagna di classe brava e attraente, ma che non si riesce proprio a trovare simpatica. 
Alla fine si ritorna a Milano, in via Soflerino. Il punto di vista è quello maschile, ma è una sorpresa che dura poco, perché aspramente,  alla fine, si scopre che lei, La Protagonista, è tornata. Non potendo recitare la parte dell'uomo, si è data il ruolo marginale e attraente dell'amore di gioventù, la ragazza complicata dal profilo di vetro.
Si ha l'impressione di averla conosciuta, di averla guardata di sottecchi nello spogliatoio della palestra, con un misto d'invidia e ammirazione. Ci si ricorda di lei, della ragazza complicata. In questo è veramente brava, nell'imporsi. Lo fa anche con la lingua, arzigogolando una frase semplice, rendendola artificio ricercato, su cui riflettere. Alterigia e determinazione, riflessione e auto-promozione; un ritratto della Milano bene e da bere schiettissimo, non c'è dubbio. 

sabato 3 marzo 2012

MOST WANTED: Mio padre non ha mai avuto un cane.

"La prima immagine è quella di un cane che guarda.
 Il cane sono io.
 Sto guardando mio padre che è una pietra che piange."

 Tre enunciati che ti entrano dentro come un mantra, che dopo averli letti non puoi far altro che abbandonarti alla fede: questo libro sarà bellissimo. Mio padre non ha mai avuto un cane di Davide Enia, Davidù, è una perla, anzi una pietra. Una pietra pomice che sta a galla nelle acque torbide della letteratura (e rubo la metafora dal libro). Se tutti i libri fossero così belli, corti e intensi, se tutte le storie colpissero nel profondo come questa.
Non so cosa succederebbe, lascio il "se" aperto. Palermo 1992, le stragi di Stato e di Mafia. Palermo e il padre di Davidù,una cosa sola, la città e isuoi abitanti; pietre che piangono, che iniziano a creparsi. Gente che inizia a morire, davanti ai bambini. E un cane, Nerone, che vede i fili che legano gli uomini a tutte le cose e ci insegna a guardare con i suoi occhi (gli stessi della pietra pomice, i mille che arrivano dall'abisso).

 Sarà la mia debolezza per il concetto canino, sarà che questo blog è un ramo del vecchio e ormai scomparso Los Perros Locos, ma io questo libro l'ho letto d'un fiato e non ho potuto non piangerci insieme. Per questo va dritto dritto nei Most Wanted di questa settimana, solitario e regale come una cane di pietra.